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Posts Tagged ‘Brescia’


Dopo il funerale non ero più andata a trovare papà al cimitero. Non mi sembrava essenziale, il mio papà non è lì. Ma le mie bambine volevano vedere il luogo in cui riposa, da tempo. Stamattina le ho portate, com’era giusto che fosse prima o poi. Oggi sarebbe stato il suo compleanno, il suo 71esimo, sembrava l’occasione giusta. Oltretutto le amiche avevano cominciato a farmi venire qualche dubbio: “Ma non starai evitando questa cosa? Non sarà troppo difficile? Vuoi che qualcuno ti accompagni”? No, in reltà no. Non credo. Chissà, poi magari davanti al Vantiniano mi sento male e non riesco nemmeno ad entrare… ma mi sembra improbabile. In ogni caso era da fare. Amélie sapeva abbastanza bene cosa l’aspettava, Marilù per niente: “Ma inzomma, quand’è che mi portate a vedere il mio nonno! Ma io non voglio vedere la foto, voglio vedere IL NONNO!”, aveva detto poche settimane fa. La città deserta, i fioristi chiusi il lunedì – si comprano i fiori all’Esselunga e si affronta il viale dei cipressi. Fa un caldo infernale, perdonatemi l’ammicco. Non so nemmeno in che cella sia, il mio papà – accanto alla sua mamma, al suo papà ed alle zie, che mi hanno fatto da pseudononne nell’infanzia. Marta e Cesira, sono nomi da zie zitelle da romanzo, sono le mie vecchie zie. Le prime celle le sorpasso tranquilla, da metà in poi sbircio, ma non lo trovo. Non ricordavo fosse così lontano. Procedo, chiamo sua moglie, anche per farle sapere che oggi ci sono io, e mi indica la cella giusta. Entro e vedo la lapide montata, la foto di papà accanto alla nonna Marj. E’ una foto presa in barca, era a torso nudo, sguardo intenso, gli hanno messo una camicia, bella, tipo lino azzurrino – è incredibile cosa riescano a fare. Amélie cerca il posto per lasciare il lavoretto che ha fatto, con la conchiglia (in realtà più che altro un guscio di lumaca) ed una piuma di gabbiano, trovate in spiaggia davanti a casa, al nostro lago. Nostro grazie a papà, a quell’acquisto così significativo per la storia della mia famiglia, nel’68, ancora prima che io fossi anche solo un pensiero. Mettiamo nel vasetto i fiori di Marilù. Le bambine guardano le altre tombe, le foto, Amélie legge i nomi, trova parenti, Marilù vede dei fiori più belli dei suoi, ma non è dispiaciuta. Mi rendo conto adesso che io non so nemmeno dove sia scritto il nome di mio papà sulla lapide: la guardavo e vedevo solo quella foto, a colori nel bianco e nero delle altre foto, e dei marmi e delle decorazioni bronzee ossidate e dei fiori di plastica sbiaditi e tetri, coperti da una polvere scura e spessa. Mi rendo conto che scrivere mi aiuta proprio a fissare gli eventi, a viverli di più, a vederli come al rallentatore e registrarli, un dettaglio dopo l’altro. Dettagli emotivi, più che altro. Quindi siate pazienti. Uscendo penso che mio papà proprio non è lì. Poi ricordo quando venivo qui da bambina, con mia mamma, anno dopo anno a trovare i suoi genitori. I miei nonni sono sempre stati nei cimiteri, pare lugubre, ma è così. Ma il Vantiniano non è lugubre, il rumore della ghiaia sotto i piedi mi piace molto, il verde secolare, i marmi romantici. E adesso ho le mie bambine per mano, siamo andate a trovare il nonno, insieme, come faremo ancora, anche se lo sappiamo tutt’e tre che nonno Sandro non è lì. Perchè è in questo che è mio padre, come lo erano i miei nonni sconosciuti, nel nostro passeggiare insieme pensando a lui.

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Non ci posso pensare

Non voglio capire

Tantomeno accettare

E non ricordare

Ti devo vedere

Ti voglio abbracciare

Mollemente chiacchierare

Sedute in giardino

Parlare di casa

Di rientri felici

E di mondi lontani

A portata di mano

Nel tuo quotidiano

Se guardo quel prato

Rivedo il tuo passo

Ondulato elegante

Il sorriso dorato

Il corpo sottile

Come lancia Masai

Ma tu non ci sei

E non ci sarai

Ed io non ci credo

Che mai tornerai

Che lievi parole tra noi

Non verranno parlate

E tu non scriverai

Delle acque del Garda

Delle spiagge kenyote

Di Bali e Roatàn

E altre mete remote

Altre mete a noi ignote

Se continua il tuo viaggio

O si ferma incompiuto

E’ vuoto il vaso

Il mistero insoluto

E’ un mondo diverso

Più pauroso e più solo

Anche se la tua voce

Intona chiaro il richiamo

A una vita fedele

Alle mille nature

Della donna e dell’uomo

Del pianeta e del gioco

E ci resta quel poco…

 

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Ci tengo a segnalare l’inaugurazione di una mostra: stasera a Brescia 2 – in via Creta 76, ore 18h00 – Carlo Baroni espone le sue terracotte e smalti. Ho la fortuna ormai di avere alcuni amici in comune con mia madre: ha sempre frequentato “bene” lei, in senso probabilmente opposto a quello comune della “Brescia bene”: persone creative ed interessanti, che da ragazzina ho sempre amato incrociare ed ammirare. E siccome la creatività è un viaggio, i mondi di queste persone e la loro applicazione della più divina delle qualità mutano di continuo, soprendendo chi li circonda: io ho lasciato Carlo tra maglie e maglioni e lo ritrovo, con grande piacere, in via Creta tra le terracotte! Non pensiate che parli di uno scultore improvvisato, sono anni che Carlo si dedica alla scultura, solo che io non avevo ancora avuto la possibilità di conoscere da vicino le sue opere e, in particolare, questo materiale, che mi ha sempre affascinato e non ho mai avuto l’occasione di esplorare. Sarò quindi felice di esserci stasera, magari ci vediamo lì!

PS: Secondo me il maiale non è azzurro perchè Madre Natura ha scelto di lasciare anche a noi – ed in particolare agli artisti ed a chi con quegli occhi sa guardare – lo spazio per sbizzarrire la fantasia e portarla nella realtà.

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Domenica scorsa è stata una giornata davvero diversa dalle solite: dopo aver indossato la maglietta di Jovannotti AMAMI per recarmi alle urne con la mia amica ed aver notato un bel movimento in paese, ho mandato il maritino con la figlia più piccola alle Terme di Sirmione, dove lei sta seguendo un ciclo di cure inalatorie per la tosse – io mi smazzo 11 sedute su 12, questa gli toccava proprio! Nel frattempo io e la mia bimba più grande, che compierà sei anni a fine mese, siamo andate a Brescia per vedere insieme la mostra di Henri Matisse e passare una giornata “esclusiva” tra noi. Ultimamente ho notato che era più disubbidiente e capricciosa del solito e quando questo succede il rimedio migliore è l’attenzione materna. E’ un po’ gelosa del fatto che, mentre lei va alla scuola materna, la sorellina resti a casa con me. Me l’aveva già giocato questo tiro ed avevo capito che non sempre le punizioni funzionano e certe conversazioni sono forse ancora un po’ adulte per la sua età…

– Se hai un problema puoi parlamene, amore

– Le mie amiche non mi fanno giocare

(Non intendevo proprio questo – sottaciuto) Ti capisco, ma non sarà che vuoi sempre decidere tu a cosa giocare e dopo un po’ loro si stufano…? (Me l’ha detto la maestra – sottaciuto)

– NON E’ VERO!

Fine conversazione. Avevo risolto con un Rapunzel al cinema ed un gelato – ricetta semplice, ma efficace. 🙂 Questa volta l’occasione golosa è stata la bella mostra a Santa Giulia (fino al 26 giugno, affrettatevi!): a Roma avevamo già visitato la mostra di Chagalle, ed a lei era piaciuta moltissimo. La piccola invece non era ancora in grado di apprezzare, evidentemente, visto che il suo divertimento massimo era stato camminare sui quadratini blu sul pavimento, quelli che impediscono di avvicinarsi troppo al quadro, facendo scattare un allarme di BIP BIP! Ho pensato quindi che fosse un bel modo di goderci un momento intimo ed educativo. In macchina mi ha bombardato di domande esistenziali:

– Mamma, ma perchè esistono solo i maschi e le femmine?

– …

Ma ne sono uscita alla grande, pacca sulla spalla a mamma. Arrivate al museo era tutta gasata per il registratore della guida audio (“Ho il telefonino!”), ma dopo un balletto su una musica che sentiva solo lei (poesia pura) ed un paio di sale, ha cominciato a stufarsi: le prime sono in effetti un po’ ostiche per una bimba, consistendo in paragoni tra disegni, scultura e pittura. Sono riuscita a farmi indicare i suoi quadri preferiti (Busto in gesso, bouquet di fiori su tutti)

Henri Matisse, Busto in gesso, bouquet di fiori 1919

le ho detto quale piaceva a me e perché (le tappezzerie a colori vicaci e caldi, la mamma che suona ed i figli che giocano insieme: a me il quadro ha parlato di armonia e di famiglia)

Pianista e giocatori di dama - 24

e l’ho resa comunque partecipe. Le ultime due sale sono state decisamente più divertenti per lei – ed assolutamente entusiamanti per me! Ne avrei volute altre 2, 3, 4 di sale così!!! Ha voluto riprendere “il telefonino” che aveva accantonato, ha seguito scrupolosamente le faccine e le indicazioni dei numeri da premere, passando da un quadro all’altro: i decoupage sono il suo passatempo preferito, quindi le sono piaciuti moltissimo. Abbiamo scelto i nostri preferiti, quelli che ci metteremmo volentieri in casa, insomma :-)!

Questo è quello che preferisce la mia bimba, con colori  da principessa, ovviamente…

Jazz, Il lanciatore di coltelli - tavola XV

Per me sceglierne uno solo è stato assolutamente impossibile! Ho amato anche la disposizione delle opere, in circolo intorno alla stanza, all’altezza di un tavolo, allestimento che mi ha fatto sentire come in presenza di opere appena compiute, sparse per l’atelier dell’artista. Poi la stanza finale, un vero e proprio climax!

Polinesia, il mare

Oceania, il cielo

Io sarei rimasta ore in quest’ultima sala, ma i bambini sono bambini e dopo una decina di minuti l’irrequitezza dll’infanzia richiamava mia figlia. E comunque se Matisse le è piaciuto, ha preferito Chagalle – per Chagalle o per il fatto che a Roma con noi c’era il suo amico del cuore? Non lo saprò mai… 🙂 Ha voluto mangiare qualcosa nel bel bar del museo, poi siamo passate dal negozio, ci siamo accaparrate cartoline, libri, souvenir di questo momento insieme e regalini per tutta la famiglia. Il suo cuore, però, è stato rapito dal volo di farfalle da incollare al muro della cameretta – e confesso che non ho saputo resistere nemmeno io. uscendo ha voluto fermarsi su una panchina in piazza Tebaldo Brusato, abbiamo chiacchierato per una buona mezz’ora – io e la mia bambina, così piccola e grande al contempo, in un dolce pomeriggio di primavera. Non ha nemmeno voluto il gelato!

Non importa se questa foto ritrae la piazza in autunno: la luce era quasi la stessa, la rarefazione dell'aria anche

Salendo in macchina ci siamo accorte di aver dimenticato un libro al museo! Ci siamo affrettate, ed uscendo… ci ha accolto una pioggia improvvisa e scrosciante. Ci siamo coperte alla bell’e meglio, abbiamo attraversato stradine e piazza e ci siamo infilate svelte in macchina, felici anche di quest’ultima avventura.

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Insomma, dicevo… che serata!! Un concerto lunghissimo, con un’energia pazzesca dall’inizio alla fine: ma dove la trova?? Energia per cantare, ballare e soprattutto trasmettere – Lorenzo è uno dei pochi grandi artisti che sono anche indiscutibilmente belle persone, e questo si percepisce in modo netto. Inizia il concerto con un sorriso grande così, completo scuro, camicia bianca e cravatta rossa, muove quelle gambe lunghissime in modo sconnesso eppure entusiasmante, canta, ci promette  implicitamente un divertimento indiscusso e si diverte con noi, spalanca le braccia, ci fa entrare.

Questo gesto infantile, che troppi dimenticano da “grandi”, questo spalancarsi al mondo per lasciare che ci tocchi, ci trapassi, ci faccia vibrare, è tipico di chi non vive rinchiuso in se stesso, ma ama, osa e vive intensamente – ve lo consiglio, è una sana pratica spalancare le braccia di fronte ad un paesaggio, ad un’emozione, è propedeutico! Eccolo il Jova, ci arriva dagli anni ’80, come dice Enrico, dinoccolato e un po’ sfigato, ma divertente da subito. Dal secondo album comincia a percepirsi una profondità che non dimentica la gioia di vivere, ma che la coltiva, parte integrante del vivere bene, a 360°. Per me Lorenzo Cherubini è un grande interprete del mondo di oggi, artisticamente e come persona. Nei suoi testi, come nei suoi ritmi c’è un approccio consapevole e critico, ma positivo e costruttivo, mai lamentoso. Jovanotti passa da inni all’amore a racconti intimi di emozioni forti, a domande portatrici di ispirazione.

Al di là del suo impegno politico (come cittadino, certo non avvicinabile al basso partitismo dell’Italia di oggi), ascoltare la sua musica fa bene ed il concerto di ieri mi ha reso partecipe di una complessità, professionalità, visione artistica ed umana che mi ha divertito ed arricchito. A volte lo pensavo 16enne, troppo alto e troppo magro, ballare in quello stesso modo a qualche festa liceale, certo non il fidanzato ideale o modello di seduttore, eppure Lorenzo Cherubini è oggi tutto questo e molto di più, a dimostrazione del fatto che i giudizi sono troppo spesso affrettati e limitati, la vita è sorprendente e bisogna viversela tutta. Il Jova è un trascinatore di folle, ma Lorenzo sa bene dove andare a parare e dove portarci, senza secondi fini, ma per una condivisione dell’energia vitale che passa attraverso la musica, la vicinanza, il pensiero, il corpo, il ballo. Il concerto è finito con la sala illuminata a giorno, una musicazza da discoteca a palla e tutto il gruppo in cima alla pensilina, in mezzo alla gente, tutti a ballare insieme. L’invito al voto per il referendum c’è stato, ma en passant, una virgola di senso civico accolta dal pubblico con un boato. Quanto ci siamo divertiti ieri, mi vien voglia di andare ad un’altra tappa e ricominciare da capo!!!

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Quindi, dicevo, l’altra mattina ero in macchina diretta a Brescia, all’inizio di una bella giornata di sole densa di impegni, accendo la radio e sento la voce di Fabio Volo a radio DJ…

… flashback… Ho 18, 19 anni o giù di lì, sono in corso a fare le vasche: tirata a lucido, pronta ad uscire la sera, gasata perché un po’ mi sento grande e quasi libera, come succede ogni settimana, per una manciata di ore, tutti i sabati. Ci sono tutti: gli amorazzi, gli amici, i conoscenti… il Fonta gira e chiacchiera e ci passa i biglietti per il Mirò, entrata senza fare la fila per una serata di balli e di svago. Dove si va a cena, chi guida, le solite cose. In discoteca le facce sono sempre quelle: Franci, Leo, Alby, Michele, Gigi, … chissà com’è che di ragazze me ne ricordo poche… si sa che non é per loro che le antenne di una ragazzina, che si sente “donna”, sono rizzate a quell’età! 🙂 Si balla e si chiacchiera – perché a quell’epoca ancora si riusciva a parlare in disco. Il Fonta gira sorridente e ad una certa ora, mentre tutti noi fighetti continuiamo a inebriarci di gioventù, saluta tutti e parte a fare il pane in forneria dai suoi. Niente escamotages, scuse o cazzate: sappiamo tutti che Fabio lavora e mentre c’é chi, firmato da testa ai piedi, si seppellirebbe vivo piuttosto di raccontare che fa il panettiere, lui é tranquillo nel suo impegno di una vita tra l’effimero, il divertente e l’impegno regolare di un ragazzo che, mentre noi andiamo a dormire, é sveglio dalla mattina precedente e lavora di braccia e di cuore. Me lo immaginavo così, un po’ coperto di farina, sempre sorridente, una spanna oltre noi, ancora cullati dalla vita studentesca e frivola – proprio di quella frivolezza mi rendevo conto quando Fabio lasciava la discoteca, mentre di solito mi sentivo angosciata da chissà quali menate da 18enne.

… flashforward… Fabio parla dalla radio, si chiama Volo adesso, il Fonta veniva da Fontanella, ma non era quello il suo cognome, chissà perché era conosciuto così. A tutt’oggi non lo so il suo reale cognome e non ho voglia di chiederlo agli amici comuni, né di ricercarlo in internet – mi piace così. Lui é lì che non riesce a trattenere l’indignazione per il passaggio del “processo breve” in parlamento, la sera prima. Spara a zero, soprattutto sul cittadino disinformato (“il potere, é ovvio, difende se stesso”), ma nella sua voce ancora senti quel sorriso che, per la sua natura allegra e non per imbecillità, non lascia le sue labbra. Fa il DJ Fabio, scrive anche libri e fa persino l’attore. Ce l’ha fatta. In pieno. Ce l’ha fatta BENE, perché é un professionista, parla e scrive di ciò che sa, non fa film da intellettualoidi, recitati come la lista della spesa, e nemmeno cinepanettoni. E’ difficile non bruciarsi nel mondo dello spettacolo, ed ho la sensazione che lui ci sia riuscito, che sia sempre Fabietto, sbocciato. Fabio secondo me rappresenta il lato bella della Generazione X. Nei libri ufficializza le espressioni correnti, la parlata di strada (“… non lo capirebbe neanche se glie lo dicessi in stampatello…”), i pensieri medi ed i sentimenti medi delle persone medie, ma il fatto che lo faccia con grande chiarezza e semplicità lo toglie d’ufficio dalla “media”. Io, media, mi ci ritrovo sempre nelle sue riflessioni, proprio come ora che dalla radio parla della sensazione che si prova quando ci si trova su un taxi, con un tassista che é in vena di conversazione e fa osservazioni da brav’uomo di famiglia razzista (“perchè un conto é se vogliono venire qui a lavorare, ma quando rubano e stuprano e tutta un’altra cosa”). E tu sei dietro e sei indeciso tra il continuare a rispondere “aha” ed il dirgli: non mi sembra il caso di generalizzare, la maggior parte delle violenze sono commesse dai famigliari, da quelli che fanno parte del nostro circolo, non da chi viene da “fuori”… Per sentirti infine rispondere, se le parole le hai cacciate, “beh, certo, e poi sono persone anche loro…”. E tu sempre lì dietro, a verificare tra quanto sarai arrivato e potrai scendere… E’ una sensazione che ho provato spessissimo, a Milano, a NY, a Bruxelles… ed anche io a volte mi sono limitata al “aha”, altre é bastata una frase per zittire il tassista e fargli capire che forse questa corsa é meglio farla in silenzio, altre ancora si é intavolata una discussione, costruttiva, addirittura. E intanto io guido, di nuovo tra le strade di Brescia, dietro di me la mia bimba più piccola, l’altra é all’asilo (ultimo anno), al Lago, Leo fa il broker assicurativo, Franci ha un negozio di mobili ed oggetti dal mondo – é proprio da lei che vado, parcheggio sotto la casa nella quale vivevo ai tempi del Mirò, in parte a quella nella quale ancora vive mia zia, e sotto la quale mia cugina Francesca ha trasformato un’anonima attività commerciale (caldaie) in un elegante ed accogliente salotto cittadino. Spengo la radio, entriamo, e lei ci accoglie col suo pancione, con dentro la mia nipotina, che tra tre mesi nascerà. “Stavo ascoltando Fabietto alla radio, stamattina é stato eccezionale” “Lo stavo ascoltando anch’io. Caffettino cugia?”

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Cari Viziosi, oggi vi parlo del ristorante che ha da qualche mese aperto il mio “cuginetto”, Marco Fossati: sarà anche uso di mezzo pubblico per fini pubblicitari, ma secondo me quando qualcuno lavora bene, merita il riconoscimento. Marco ha sempre avuto la passione del cibo, fin da quando, da piccolino, andava a pescare le trote di fiume con suo nonno Mario – gli piace mangiare ed ha da sempre il dono di far mangiare (e bere) bene i propri parenti ed amici. A noi é sempre stato chiaro che il suo futuro fosse quello di condividere questo talento naturale con un pubblico più ampio del proprio entourage, ma trovare la propria strada non é facile, nemmeno quando una passione é tanto evidente. Ci vuole preparazione, ci vuole spirito d’iniziativa, tanto lavoro e… soldi! Quindi dopo le superiori Marco si iscrive a Legge, ma con poco entusiasmo e successo. Dopo vicissitudini varie, che portano anche chi gli vuole più bene a temere un grave caso di lazzaronite congenita, decide di fare un lavoro all’apparenza umile, ma legato al suo amore per il cibo e che svolge con grande capacità: si occupa del banco del pesce in un grande supermercato. Segue corsi su corsi e fa degli orari che zittiscono anche il più accanito dei suoi critici, dimostrando che quando lavora a qualcosa che lo coinvolge, Marco sa impegnarsi a fondo. Con proprio disappunto viene trasferito alla panificazione, ma nonostante gli costi abbandonare un prodotto nobile come il pesce fresco, coglie l’occasione per affinare il proprio talento ed imparare a maneggiare creativamente anche il più semplice, ma fondamentale, dei complementi di una buona tavola. Dopo anni di turni durissimi, finalmente Marco conquista la piena fiducia della propria famiglia, che decide di sostenerlo nell’avventura della sua vita: l’apertura di un proprio ristorante. Marco fa pratica per mesi nella cucina di un amico, mentre cerca il locale adatto. Lo trova, lo ristruttura, lo arreda e finalmente apre al pubblico. Il mio “cuginetto” (ormai un pezzo d’uomo alto e ben pasciuto!) é bellissimo nella sua uniforme nera, completa di cappello da chef (minuscolo, visto che un pezzo di carta ufficiale di qualche mega-scuola non l’ha, ma ha tutte le conoscenze, l’esperienza e l’inventiva per essersi meritato l’appellativo sul campo), a capo di una piccola batteria di aiutanti in cucina ed in sala, che contribuiscono a rendere La volpe e l’uva un locale nel quale si mangia molto bene, in un’atmosfera piacevole. Oramai tutte le nostre feste di famiglia si svolgono lì, col cugino in cucina ed i bambini che rallegrano l’ambiente caloroso.

I piatti che trovate nel menù vanno dai tradizionali casoncelli alla bresciana (ma con 40 tuorli, hai capito Sere? 40 tuorli!) ad un piatto poco locale, ma che segue il suo sapiente gusto, gli spaetzli; dagli stracotti, alla tare tare tagliata al coltello, all’esotico agnello al miele e cous-cous, alle carni alla brace di legno d’ulivo (!), ai dolci degni di un raffinato ristorante, piuttosto che di una trattoria (il mio preferito é il semifreddo allo zenzero, ma se andate d’inverno non dimenticatevi di chiedere lo zabaione!!). Potete trovare il menù completo e tutti i dettagli di ubicazione ed orari sulla pagina facebook che ho appena creato per questo cugino tanto bravo ai fornelli, quanto digiuno di qualsiasi nozione di marketing! Io spero che la dedizione ed il lavoro che Marco ha dimostrato vengano premiati come merita, perché questa é la storia di un ragazzo di oggi, che sembra cresciuto troppo nella bambagia, tra una mamma ed una nonna che fanno a gara per viziarlo, finché non deve per forza dimostrare di sapere volare da solo e di essere capace di mettere a frutto sia i vantaggi che le difficoltà che la vita ha posto sulla sua strada. Spero di incontrarvi la domenica di Pasqua, insieme alle vostre famiglie, magari in una giornata di sole per goderci la bella terrazza e la veranda di una trattoria che spero diventi uno dei punti di riferimento della buona tavola bresciana.

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Tempo per una confessione


Io mi sono sempre un po’ sentita il Willy il Coyote della situazione, nella mia città d’origine. Non posso chiamarla la mia città e basta, perché il rapporto é molto più complesso. Non la sento proprio mia – o forse sono io a non sentirmi SUA. A volte la sfuggo, a volte la cerco, a volte cerco di accalappiarne delle sfumature, delle espressioni, dei componenti, ma alla fine li trovo sempre sfuggenti. A volte é come se invece mi sentissi Bip Bip, col fiato sul collo di una brescianità che non ho mai saputo cogliere. Brescia la conosco per esserci cresciuta: strade e piazze racchiudono dei ricordi, qualche momento, ma essenzialmente sono l’architettura, la scenografia di un passaggio, il mio, che sulla città non lascia traccia. L’ho frequentata, fino ad una certa età, ma, per dire, la mia prima macchina l’ho presa che vivevo a Milano, Brescia so a malapena girarla. Mia mamma dice che faccio la figa “che é stata all’estero”, quando lei mi parla di vie che mi fanno solo allargare gli occhi dalla sorpresa, persa, cercando di trovarle in una specie di Tutto Città mentale estremamente lacunoso, che mi dà sempre un po’ d’ansia quando sono al volante. Ho conosciuto e conosco molte persone, molti rapporti sono importanti, altri lo sono stati, altri diventati, alcuni spero lo diventeranno sempre di più. Ma quelli che davvero hanno penetrato la mia vita si contano sulle dita di una mano. A volte vorrei aggiungere, ma poi non mi riesce mai fino in fondo, perché la mia vita é altrove – e credo non solo in senso geografico. Mi sono sempre sentita un po’ tagliata fuori – anzi, a volte avrei voluto sentirmi ancora più outsider per godermi il lato figo della cosa. Ma se ci sono riuscita a NY o a Bruxelles, il gioco a BS non torna: non puoi essere un indigeno ed un outsider allo stesso tempo: cioè puoi, ma non é figo, significa che c’é qualcosa che non va, magari non in uno o nell’altro, in me o nella città, ma nella relazione. E’ strano come spesso per me Brescia prescinda dai bresciani. I bresciani a volte sono ciò che mi riavvicina a Brescia. O che vorrei mi avvicinasse, in certi casi. Ma come dicevo non funziona sempre. In compenso accolgo sempre con compiaciuto stupore le mani tese da bresciani insospettabili. Nei miei giri e rigiri non sono sempre state le persone che aspettavo a raggiungermi, a farmi visita, a condividere un pezzo della mia esperienza “fuori”. Spesso le maggiori dimostrazioni di affetto, o di stima, mi sono arrivate da chi, nella mia vita, sembrava una tangente, non una secante. E da lì si é ripartiti, costruendo rapporti intensi e sinceri. Quando l’estero si é rivelato poco adatto alle esigenze del momento, sono rientrata, con la mia famiglia . Non proprio a BS, ma abbastanza vicino, al lago. Per noi bresciani Il Lago é il lago di Garda. Il lago é sempre stato molto più casa mia. Un sospiro di sollievo, da adolescente: al lago avevo una compagnia (non 10 e nessuna), amici, gente che mi cercava – raramente un fidanzato, quello me lo sono dovuto sudare. Il primo moroso – come si dice da noi – bresciano, é arrivato a 18 anni e durato 3 settimane. Non é un dettaglio. Ma poi è arrivata Milano, poi l’estero, le persone che ti conoscevano x quello che vedevano di te, non per quello che rappresentavi, in quanto ad immagine, o ricordi, o collocazione. Questo mi ha aiutato a capire che il problema non ero io – e nemmeno Brescia! Il problema era la reciproca incompatibilità. Non per scelta, o decisione conscia, ma per natura. Quindi non rimpiango nulla, ogni passaggio, x quanto doloroso, é stato significativo. Ma ciò non toglie che le lusinghe di un bresciano oggi (di quelli che non sono mai partiti, quelli puri, gli altri sono come me, contaminati :-)) possano x me equivalere ad una coccarda – intima e personalissima, un voto, un lasciapassare, un segno di riconoscenza. Se i miei amici in giro per il mondo sono “i miei amici”, quelli che ho incrociato, quelli che ho scelto e mi hanno scelto, quelli che prescindono da tutto, gli amici bresciani portano con sé, per me, un segno di validazione, di appartenenza. Anche se al mondo bresciano continuo ad appartenere più in quanto outsider curioso, che altro. L’appartenenza é un sentimento molto importante nell’equilibrio psicologico di ognuno. Io appartengo a me, alla mia famiglia, al mondo. Ma anche alla città in cui sono nata, che continua ad annoiarmi, a non soddisfarmi, ad apparirmi distante da me in modo insostenibile, ma ad affascinarmi al contempo. Ecco perché spesso rimbalzo tra il ruoli di Willy e quello di Bip Bip, quando si tratta della mia città, Brescia. Ecco, l’ho detto. Ho voluto la bicicletta? 🙂



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