Ieri sera intorno alle nove e mezza esco di casa portandomi dietro il dattiloscritto di un’amica che ha talento da vendere e ancora non lo vende, una storia bruciante di delitto per ora senza castigo, scritta in una forma contratta, nervosa, precisa, quasi perfetta. Salendo in moto realizzo che non esistono né generi, né stili narrativi, né tanto meno sotto generi e sotto stili, ma forme espressive espressione di tanti cervelli pensanti e cuori senzienti quante sono le scatole craniche e le gabbie toraciche che quei liberi cervelli e quei cuori liberandi osteofisiologicamente ingabbiano. Sono affamato a caccia di cibo e della gratificazione che a volte il cibo mi dà. Mi dirigo al Due Stelle con un baccalà alla vicentina pregustato così magnificamente che già mi titilla la papilla e mi trasuda la lingua neanche fosse un’anguilla. Due Stelle chiuso, sbarrato, spento, blindato. Inverto la rotta, c’è un buco vicino a Porta Pile che fa certi piatti romani pesanti e gustosi, quello che ci vuole per non pensare a nient’altro che al dattiloscritto rovente che mi brucia il culo da sotto la sella. Idem, morto per ferie. Girando la moto, mi imbatto nel titolare, capelli grigi, lunghi e allisciati come quelli della mia prima barbie che non ho mai avuto. Affianco il ridicolo quad sul quale è seduto. A domanda risponde tutto giulivo: riapriamo a settembre. Bene, dico, buone vacanze. E lui: sei il primo a dirmelo, avessi sentito cosa mi hanno detto gli altri. E che dovevo dirti, dico, affanculo come gli altri, penso ma non dico, mi impongo le buone maniere io, soprattutto quando si tratta di perdere. Altri inutili giri per locali scantonati. Detesto i ristoranti di lusso perché se non ti dai un tono di lusso fanno di tutto per farti sentire un reietto e non ho l’energia per fargli sentire che sono un reietto di lusso. Devo leggere lei e gli omicidi commessi da lui, e ho fame, cazzo se ho fame. Pizzerie non se ne parla, non ho voglia degli sguardi indagatori di camerieri e gestori, il loro zelo, la misura di una gentilezza fasulla direttamente proporzionale al costo della pizza. Fanculo lo stomaco, fanculo anche il fegato. Mi faccio un kebab. Quindici chilometri di guida seminotturna in città per andare da Porta Venezia a Piazza della Repubblica per divorarmi un bisunto kebab. Parcheggio a fianco vetrina, siedo e godo della postazione di un principe. In primo piano la moto che nessuno la tocchi, dietro un carosello di fari che mi fa pensare a quanto è bella la vita, sopra controllo il tempo che sale e la temperatura che scende, poco ma scende, sul display digitale. In attesa del kebab, do un’occhiata al cellulare, nuovo messaggio. Porca, c’è scritto, anzi, minuscolo: porca. Nient’altro. Numero sconosciuto. Sarà per via di certe fotine che ho messo su Facefool? Chi sei, principessa? rispondo testualmente al messaggio. Chissà perché in prima battuta ho pensato a una donna. Poi ci ripenso, sarà un uomo che si è sbagliato, e scrivo un nuovo messaggio: O devo dire: principe? Sai, i complimenti sinceri fanno sempre piacere ma anonimi lo sciupano un po’.
Arriva il kebab. In piatto e posate, detesto i panini. Mi immergo nella carne viscida e nella lettura secca ma non arida. Più simile al sole sovrastante il deserto che al deserto sottostante. Prima però tolgo l’opzione silenzioso al cellulare. So che meno ci penso prima arriva un segnale dal mittente di porca. Con un occhio sprofondo nella luce nera del dattiloscritto mentre con l’altro porto il montone alla bocca. Due minuti e il telefono squilla. Sono Xxxx, scoppia a ridere il chiamante, ho sbagliato destinatario. Ride di gusto. È più di un conoscente, quasi un amico. Bel modo di trattare le amanti, dico. Attento la prossima volta a non inviarlo a tua moglie, dico ridendo, lui si scusa, ridacchia e chiude. Ingollo il kebab che si agita in bocca, silenzio di nuovo il cellulare, do un’occhiata malvagia a quattro rumeni che urlano e pestano i piedi mentre giocano a carte, mi intenerisco per un magrebino che tira fuori un computer portatile nuovo di zecca dalla confezione di cartone, lo apre lo accende e sento che si sente felice, sorrido a un bambino indiano pelato in braccio al padre indiano pure lui, il bambino non ricambia il sorriso, così lo fa il padre che ne fa le veci e forse gli pulisce anche le feci. Poi faccio un incantesimo di isolamento e mi tappo mentalmente le orecchie. Non voglio sentire altro che la voce narrante che mi narra una storia che non ha niente a che vedere con me.
Grazie. Grazie di questo bellissimo regalo! Che goduria svegliarsi e leggere una bella storia, conoscendo i personaggi ed i luoghi nei dettagli, sapendo che sono stati dipinti anche per te. 🙂
Grazie a Te, Serena. Il tuo entusiasmo, la tua gioia di vivere e la tua voglia di impegnarti per il bene comune sono preziosi anche per chi, guardando il mondo – o gran parte del mondo-, avverte il prurito del disincanto.
ciao gi…sei sempre fantastico.ho appena comprato computer ,(una finestra sul mondo…xchè dove sto ora io serve…sto in un paesino fuori dal mondo),e ho cercato il tuo nome…mi mancavano i tuoi scritti..son tornata indietro di 7 anni..!.non abito piu a bergamo…e non vedo piu nessuno da anni…ma da 3 sere sto leggendo tutti i tuoi scritti su computer…e onde rosse lo so a memoria…ciao gi.
porca
Ieri sera intorno alle nove e mezza esco di casa portandomi dietro il dattiloscritto di un’amica che ha talento da vendere e ancora non lo vende, una storia bruciante di delitto per ora senza castigo, scritta in una forma contratta, nervosa, precisa, quasi perfetta. Salendo in moto realizzo che non esistono né generi, né stili narrativi, né tanto meno sotto generi e sotto stili, ma forme espressive espressione di tanti cervelli pensanti e cuori senzienti quante sono le scatole craniche e le gabbie toraciche che quei liberi cervelli e quei cuori liberandi osteofisiologicamente ingabbiano. Sono affamato a caccia di cibo e della gratificazione che a volte il cibo mi dà. Mi dirigo al Due Stelle con un baccalà alla vicentina pregustato così magnificamente che già mi titilla la papilla e mi trasuda la lingua neanche fosse un’anguilla. Due Stelle chiuso, sbarrato, spento, blindato. Inverto la rotta, c’è un buco vicino a Porta Pile che fa certi piatti romani pesanti e gustosi, quello che ci vuole per non pensare a nient’altro che al dattiloscritto rovente che mi brucia il culo da sotto la sella. Idem, morto per ferie. Girando la moto, mi imbatto nel titolare, capelli grigi, lunghi e allisciati come quelli della mia prima barbie che non ho mai avuto. Affianco il ridicolo quad sul quale è seduto. A domanda risponde tutto giulivo: riapriamo a settembre. Bene, dico, buone vacanze. E lui: sei il primo a dirmelo, avessi sentito cosa mi hanno detto gli altri. E che dovevo dirti, dico, affanculo come gli altri, penso ma non dico, mi impongo le buone maniere io, soprattutto quando si tratta di perdere. Altri inutili giri per locali scantonati. Detesto i ristoranti di lusso perché se non ti dai un tono di lusso fanno di tutto per farti sentire un reietto e non ho l’energia per fargli sentire che sono un reietto di lusso. Devo leggere lei e gli omicidi commessi da lui, e ho fame, cazzo se ho fame. Pizzerie non se ne parla, non ho voglia degli sguardi indagatori di camerieri e gestori, il loro zelo, la misura di una gentilezza fasulla direttamente proporzionale al costo della pizza. Fanculo lo stomaco, fanculo anche il fegato. Mi faccio un kebab. Quindici chilometri di guida seminotturna in città per andare da Porta Venezia a Piazza della Repubblica per divorarmi un bisunto kebab. Parcheggio a fianco vetrina, siedo e godo della postazione di un principe. In primo piano la moto che nessuno la tocchi, dietro un carosello di fari che mi fa pensare a quanto è bella la vita, sopra controllo il tempo che sale e la temperatura che scende, poco ma scende, sul display digitale. In attesa del kebab, do un’occhiata al cellulare, nuovo messaggio. Porca, c’è scritto, anzi, minuscolo: porca. Nient’altro. Numero sconosciuto. Sarà per via di certe fotine che ho messo su Facefool? Chi sei, principessa? rispondo testualmente al messaggio. Chissà perché in prima battuta ho pensato a una donna. Poi ci ripenso, sarà un uomo che si è sbagliato, e scrivo un nuovo messaggio: O devo dire: principe? Sai, i complimenti sinceri fanno sempre piacere ma anonimi lo sciupano un po’.
Arriva il kebab. In piatto e posate, detesto i panini. Mi immergo nella carne viscida e nella lettura secca ma non arida. Più simile al sole sovrastante il deserto che al deserto sottostante. Prima però tolgo l’opzione silenzioso al cellulare. So che meno ci penso prima arriva un segnale dal mittente di porca. Con un occhio sprofondo nella luce nera del dattiloscritto mentre con l’altro porto il montone alla bocca. Due minuti e il telefono squilla. Sono Xxxx, scoppia a ridere il chiamante, ho sbagliato destinatario. Ride di gusto. È più di un conoscente, quasi un amico. Bel modo di trattare le amanti, dico. Attento la prossima volta a non inviarlo a tua moglie, dico ridendo, lui si scusa, ridacchia e chiude. Ingollo il kebab che si agita in bocca, silenzio di nuovo il cellulare, do un’occhiata malvagia a quattro rumeni che urlano e pestano i piedi mentre giocano a carte, mi intenerisco per un magrebino che tira fuori un computer portatile nuovo di zecca dalla confezione di cartone, lo apre lo accende e sento che si sente felice, sorrido a un bambino indiano pelato in braccio al padre indiano pure lui, il bambino non ricambia il sorriso, così lo fa il padre che ne fa le veci e forse gli pulisce anche le feci. Poi faccio un incantesimo di isolamento e mi tappo mentalmente le orecchie. Non voglio sentire altro che la voce narrante che mi narra una storia che non ha niente a che vedere con me.
© 2009 by Giulio Ranzanici
Grazie. Grazie di questo bellissimo regalo! Che goduria svegliarsi e leggere una bella storia, conoscendo i personaggi ed i luoghi nei dettagli, sapendo che sono stati dipinti anche per te. 🙂
Grazie a Te, Serena. Il tuo entusiasmo, la tua gioia di vivere e la tua voglia di impegnarti per il bene comune sono preziosi anche per chi, guardando il mondo – o gran parte del mondo-, avverte il prurito del disincanto.
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ciao gi…sei sempre fantastico.ho appena comprato computer ,(una finestra sul mondo…xchè dove sto ora io serve…sto in un paesino fuori dal mondo),e ho cercato il tuo nome…mi mancavano i tuoi scritti..son tornata indietro di 7 anni..!.non abito piu a bergamo…e non vedo piu nessuno da anni…ma da 3 sere sto leggendo tutti i tuoi scritti su computer…e onde rosse lo so a memoria…ciao gi.