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Archive for febbraio 2012


Non decido con leggerezza di pubblicare queste parole, ma alla fine lo faccio. E’ strano, anche per la così poca distanza dal racconto della storia dell’incontro con mio marito… anche questa è in qualche modo una lettera d’amore, all’altro uomo della mia vita. Anche se sua moglie ed io abbiamo certo tenuto per noi i ricordi più intimi, abbiamo voluto salutare papà come pensavamo meritasse: scriverla mi è stato d’aiuto, leggerla invece un po’ più difficile, ma sono contenta di averlo fatto (grazie Giancarlo per l’esempio, a suo tempo, ti ho pensato tanto). Qualcuno mi ha chiesto a chi fare un’offerta (non fiori, ma opere di bene): sicuramente all’AIL o alla Domus Salutis, il cui Hospice ha accompagnato sia papà che noi in questo momento cruciale della vita.

Patrizia ed io vogliamo ringraziare papa’ per tante cose, ma in questo momento una di quelle che ci restano piu’ nel cuore e’ il senso di protezione che ci ha sempre dato: non parlo solo della sicurezza di avere accanto un uomo che si occupa di te in cio’ che è materiale – e che comunque e’ una tranquillità importante – ma del suo modo di occuparsi di noi e della famiglia, tutta, quella prossima, quella allargata e quella elettiva degli amici piu’ cari. Se e’ vero che era un padrino, un decisionista, un uomo che con la sua determinazione poteva spaventare chi queste caratteristiche non le possedeva, e’ vero anche che proprio questo lo ha reso una figura di riferimento insostituibile per noi e per tante altre persone. Ha saputo guidare con attenzione ed intelligenza un gruppo famigliare che si e’ formato e stretto intorno a lui. E’ riuscito a proteggerci anche dalla sua stessa malattia, minimizzando, rispondendo sempre alla domanda “come stai?” con uno squillante “benissimo!”. Era un uomo che viveva con passione ed intensita’, senza risparmiarsi, esagerando magari, aggredendo ogni momento: di lui possiamo sicuramente dire che anche se non ha vissuto a lungo quanto avremmo voluto, ha vissuto TANTO. Possiamo dire anche che era soddisfatto della sua vita, non aveva alcun rimpianto e credo siano poche le persone che possono dire altrettanto. Qualche rimorso, ma la sua generosita’ gli ha permesso di colmare alcune lacune, riparare errori, con grande senso di responsabilita’, ammettendo i propri sbagli con schiettezza, senza fare sconti a se stesso. Una delle tante cose che di lui, nel percorso insieme, piu’ ci ha colpito e’ stata la forza che ha saputo trovare anche nei momenti difficili: uomini che hanno vissuto a 1000 all’ora, raramente riescono ad accettare i limiti che ad un certo punto la vita puo’ imporre. Anche con un motore manomesso, che non gli permetteva di accelerare nonostante lui spingesse sul pedale a tutta birra, lui non ha perso troppo tempo a rammaricarsi per cio’ che non poteva piu’ fare, ma ha trovato la gioia delle piccole cose, apprezzando i momenti piu’ semplici: la famiglia, i baci delle nipotine, le chiacchiere con gli amici, il buon cibo, la sua casa, il lago. Quante volte lo abbiamo paragonato ad un leone, ma questo leone non si e’ lasciato frenare neppure dalla gabbia – i dispiaceri che sicuramente avra’ avuto per cio’ che non poteva piu’ fare, non li ha mai lasciati trasparire, i timori per le ulteriori privazioni che sapeva a venire, ce li ha risparmiati. A volte il dolore e la frustrazione sfociavano nella rabbia, il suo carattere impetuoso non era certo facile, ma facile era per noi perdonarlo, conscie del suo travaglio. E poi per Sandro Uberti le sfuriate erano un segno d’affetto: piu’ ti voleva bene e piu’ se la prendeva con te, se capiva che tu non capivi. E cosi’ come alzava la voce, altrettanto facilmente ti veniva a cercare, ti coinvolgeva, te la raccontava. Ci mancheranno le sue sfuriate e ci manchera’ la sua presenza impossibile da ignorare, ma la struttura portante che ha saputo creare, quella ci sara’ sempre, e’ dentro di noi grazie al suo insegnamento, inconsapevole e non cattedratico, attraverso l’esempio. Ci ha trasmesso il godimento della vita come valore, come celebrazione della vita stessa, considerando le opportunita’ non colte l’unico vero errore. E perdonatemi se indugio proprio sulle opportunità non colte, ma spero che possa servire a lasciarne qualcuna in meno, in futuro. In questi anni mi è stato spesso detto: “Dammi notizie di papà, io non vado a trovarlo perchè un uomo così non accetterà certo volentieri di farsi vedere sofferente… è importante che gli rimanga la dignità”. Purtroppo spesso non ho avuto il coraggio di rispondere come avrei voluto e dovuto, lo faccio ora: chi è malato ha solo voglia di distrarsi, di divertirsi – le cose più importanti sono la compagnia e gli affetti. La sofferenza non implica alcuna mancanza di dignità, anzi. La malattia non è e non deve essere vergogna, sicuramente non lo era per mio padre. Chiudo con due delle tante cose che mi sono state dette su papà in questi giorni: suo fratello Lelio mi ha detto che se c’era una cosa che si poteva imputare a Sandro era forse il protagonismo, ma si è anche affrettato ad aggiungere: ma lui non voleva fare il protagonista, lui ERA il protagonista. E nel bene e nel male, come un parafulmine prendeva su di sè le conseguenze. La mia amica Jlenia, che l’aiutava con massaggi e fisioterapia, mi ha scritto: uomo straordinario, d’altri tempi e modernissimo. bello, divertente, dissacrante e devoto… fragile e fortissimo. E’ bello vedere mio padre attraverso altri occhi e dare un nome alle tante sfumature della sua personalità. La storia di Sandro Uberti è ricca, anche a giudicare dalla quantità di persone che sono qui oggi, e mi fa piacere che possa continuare a farci compagnia.

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Ciao papà


Sandro Uberti, 1972

Ciao papi, buon viaggio – è stata una grande corsa.

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C’è una storia che non vi ho mai raccontato, è la storia del cambio di direzione più netto, inevitabile e sconvolgente della mia vita: lo so, sembrano parolone, scelte magari apposta per un messaggio privato di San Valentino, ma, in realtà, sono aggettivi accurati per raccontarvi la storia della nascita di un Amore, il mio. Prologo: è l’estate del 1990 e una giovane signora bresciana, di nome Marinella, si trova in vacanza al mare in Toscana, col figlio pre-adolescente. Nello stesso albergo si trova una famiglia belga, padre e due figli: spinto dal maggiore, il bel signore invita per un gelato la bella signora e… diciamo che inizia una frequentazione vacanziera degna dei migliori film girati su quel tratto di costa! Saltiamo ora ad una sera di inizio primavera del 1991, quando squilla il telefono in casa mia, a Brescia. E’ mia zia, Marinella: “Tesoro, ti chiamo per invitarti fuori a cena domani sera: arriva il figlio di un mio amico belga, che ha quasi la tua età, e pensavo di presentartelo, che magari in questi giorni gli fai un po’ vedere la città.” … Il figlio dell’amico belga di mia zia… Bof… Ma è una zia tanto cara, vuoi dirle di no? E va bene la cena, ma che non conti su di me per il resto della settimana! L’indomani mi trovo a prepararmi: voglia zero. L’idea di combattere per due ore con capelli ricci lunghi fino alla schiena, nodi, balsami e spazzole non mi alletta e decido per una bella treccia, di quelle tenute insieme dalle forcine, con qualche ciocca selvaggia che sfugge e ricade “casualmente” sulla fronte. Dall’armadio tiro fuori una gonna bordeaux, a pois bianchi – giuro -, di tulle – giuro!! – recuperata in qualche oscuro mercatino delle pulci e mai messa: uno di quei capi d’abbigliamento che eviti perché “O è un successone di dimensioni epocali o i miei amici mi toglieranno il saluto per la vergogna” ed a 19 anni poche cose al mondo ti danno la certezza di essere un successone epocale e gli amici sono imprescindibili. Questo tipo qui invece non lo rivedò mai più nella vita, quindi chissenefrega. Suona il campanello, verifico nello specchio l’impalcatura tricotica che dà segni di cedimento ancor prima che inizi la serata, sistemo alla bell’e meglio e apro la porta. Di fronte a me appare un pezzo di ragazzo alto quasi 1m90, con un’esuberante criniera bionda, occhi azzurri ed un sorriso che ti stende come un lenzuolo al sole. “Merda, merda, merda – ma perchè non ha detto niente mia zia! Ma perchè non mi sono lavata i capelli!!” Questo monologo ovviamente è silenzioso ed avviene solo nella mia mente malata, mentre il pagliaccio sfigato e tremante che sono apre la porta scostando il gonnone e lascia entrare il figlio dell’amico belga di mia zia. “Sono Mathieu”, si presenta, ovviamente con un’accento buffo e seducente al contempo. Mia zia ci raggiunge con mio cugino ed usciamo tutti allegramente a cena. La serata si svolge senza intoppi, anzi, c’è grande sintonia col ragazzino belga, il quale, la zia si affretta a raccontare, a Bruxelles ha una ragazza italiana. Ma pensa! Tacitamente, ma innegabilmente, Mathieu ed io archiviamo il pensiero della fidanzata. Ci concentriamo piuttosto sul domani, sulla gita al lago, per fargli vedere il posto a me più caro – in fondo lui è qui in vacanza, vuoi non portarlo a visitare i luoghi più meritevoli della mia provincia? Viaggio in corriera, la macchina per me non è ancora un mezzo di trasporto un gran chè sicuro… Bisogna anche escogitare qualcosa per la sera dopo… Un cinemino: danno balla coi Lupi al Centrale, “Volevi invitare i ragazzi?” Chiede mia zia dall’altro capo del filo…Beh, sì… i ragazzi… E sotto i portici arriva Mathieu con mio cugino. Io mi rannicchio nella mia posizione cinematografica, praticamente a palla, con i piedi appiattiti sul dorso della sedia davanti e… così fa anche lui, con tutto il suo metro e novanta. Ma pensa, mi dico, piace a tutt’e due stare un po’ contorti. Insomma finisce anche questa serata. Domani è giovedì e venerdì parte. M’invento una cena!! Ma sì, qualcosa di organizzato da tempo con amici: già che sei qua, se ti va, puoi venire… Alle 19h30 si presentano “gli amici”, recuperati da gruppi diversi di persone, quelli liberi all’ultimo minuto e disposti a mettere in scena un’amicizia pluriennale con gli altri, il tutto per favorire l’improbabile flirt dell’amica alla quale si diceva ormai da tempo, in tono consolante: “Ma tu sei destinata ad un uomo solo, un Grande Amore, non disperarti dietro a chi non ti può capire…”. Gli amici, insomma. E dopo una mezz’oretta arriva anche questo vichingo dagli occhi dolci, che si trova come un’imbucato ad una festa altrui, ignaro del fatto che la festa è da fare a lui! Ma il ragazzetto 17enne non si fa intimidire, la serata va che è un piacere e lui propone persino un’indianata. Ho dovuto fingermi vulnerabile ed alterata, per non fare la figura di quella troppo facile da sobria, ma alla fine della serata, appoggiati ai divani scamosciati e seduti sulla moquette blu del salotto, ci siamo finalmente arresi a quel bacio che svolazzava ingombrante nell’aria fin dalla prima sera, nonostante capelli sporchi e gonna assurda.

E sarebbe bello se tutto finisse, anzi iniziasse, semplicemente così, ma ci sono voluti anni ed anni ed anni di visite annuali, lettere scritte in “Francese” con prontuario, glossario e grammatica alla mano, mancate risposte (perchè LUI non sa scrivere in ITALIANO, lui!!), brevi momenti insieme intensi come il cioccolato fondente e lunghe torture psicologiche nei mesi d’assenza, incontri nei quali si ricominciava a conoscersi e sedursi ogni volta da capo, addii in stazioni dei treni affollate e pur desolate, dolore affogato insieme alle patatine nella maionese su un tavolaccio di birreria con “I will always love you” come colonna sonora, incidenti e malintesi, prima di capire che era inutile che cercassimo di evitarlo, il nostro rapporto resisteva a lontananza, fidanzate, amorazzi, logica, delusioni… Le vicissitudini sono tutto fuorchè mancate in quegli anni, e quando abbiamo capito che era finalmente giunto il momento di stare veramente insieme… sono partita per NY ed abbiamo affrontato un rapporto a lunga distanza per altri due anni!! E vai di rinnovate attese, abbracci negli aeroporti fino a cercare di inglobarsi l’un l’altro, libri scarrozzati a vuoto da un capo all’altro del globo per illudersi che anche in vacanza insieme si sarebbe studiato, bocciature agli esami, lettere, lettere, lettere, telefonate, telefonate, telefonate (email non era ancora un metodo di comunicazione di massa come oggi: Skype avrebbe cambiato tutto!!), alti e bassi, estasi e disperazione: un lunapark emotivo! In quel periodo spesso mi chiedevano se ne valesse la pena: in realtà non mi sembrava di avere scelta, il ragazzo che volevo era distante, non è che potevo mettermi con uno che non volevo solo perchè era vicino. E lasciare il ragazzo lontano e pensare di non rivederlo mai più capite bene che non avrebbe certo attutito il dolore della separazione! Di regola va così: un rapporto del genere non si sceglie, ma anche evitarlo non servirebbe a niente, quindi se vi capita abbracciate fortuna e sfortuna, perchè sono un tutt’uno! NY non ha fatto di me la diva che speravo, quindi ho impacchettato le mie cose, salutato gli amici che, per fortuna, mi avrebbero ancora accompagnato per tanto tempo, e sono rientrata in Europa, scegliendo, ovviamente, il Belgio questa volta. A nulla sono valsi gli strazianti appelli di mia madre “Non andare!! Ti seppellirai in Belgio!! Il vostro amore è talmente bello da lontano, perchè rovinarlo con la vicinanza!!”, con tale e tanto supporto è iniziata la nostra convivenza, arricchitasi da subito della gattina Hope. Poi è arrivato il matrimonio, le figlie e… le menate!! Già, già, non ne siamo mica immuni! Noi siamo la favola che si è avverata, quella con Biancaneve che si lamenta col principe, perchè ogni volta che lei riesce finalmente a riposarsi lui deve essere lì col bacio – puntuale come le zanzare estive! Quella che a volte nel letto sembra che ci siano anche i 7 nani ed il cavallo bianco – e non è un bel sembrare! Quella con il Principe al quale stanno sulle balle tutti i cazzo di topolini che girano per casa e Cenerentola che la scopa ormai l’ha appesa al chiodo e se vuoi una camicia stirata ti avvicini, senza tante manfrine, che il ferro da stiro ti assicuro non morde. Quella che la fatina non ha la bacchetta magica, ma la laurea in psicologia. Perchè anche se stamattina questa storia avrei voluto infilargliela sotto le unghie come spilli, lettera per lettera, so che invece gli infilerò sotto il cuscino due biglietti per Priscilla Queen of the desert e che ci divertiremo come due ragazzini. Insomma, quando al primo anniversario con un uomo, lui riesce a farti credere sinceramente che ai suoi occhi stravinci su una concorrenza come Winona Ryder e Gwynnet Palthrow, sai che è il tuo principe ranocchio a vita e te lo tieni stretto. Buon San Valentino amore xxx

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Queste parole, in particolare oggi, fanno bene a me. E’ davvero triste pensare che Whitney Houston sia riuscita a pronunciarle con una grazia ed una potenza tali da toccare il mondo intero, ma che non sia riuscita ad ascoltarle lei stessa… Perchè in realtà, per banale che possa sembrare, non è per niente facile, ed allo stesso tempo è fondamentale.

Credo che i bambini siano il nostro futuro

Educali, poi lascia che siano loro ad indicare la strada

Mostra loro tutta la bellezza che possiedono dentro

Falli sentire orgogliosi di sè, per rendere il cammino più facile

Lascia che il riso dei bambini ci ricordi come eravamo un tempo

Tutti cercano un eroe

La gente ha bisogno di qualcuno da ammirare

Io non ho mai trovato nessuno che soddisfacesse i miei bisogni

E’ un posto solitario in cui stare

Quindi ho imparato a contare su me stessa

Ho deciso molto tempo fa di non camminare all’ombra di nessuno

Se fallisco, se ho successo

Almeno vivrò come credo

Qualsiasi cosa mi porteranno via

Non potranno prendersi la mia dignità

Perchè il più grande amore di tutti

Sta succedendo a me

Ho trovato il più grande amore di tutti

Dentro me

L’amore più grande di tutti

E’ facile da raggiungere

Imparare ad amare te stesso

E’ l’amore più grande che ci sia

E se per caso quel posto speciale

Che hai sognato per tutto questo tempo

Ti portasse in un luogo solitario

Trova la tua forza nell’amore

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Ieri pomeriggio ricevo una chiamata: il numero non è riconoscibile, ma la voce è familiare. “Serena, sono Totò, della Masseria del Tono!” – ma certo! Che piacere, quanti ricordi di un’estate che mi ha permesso di scoprire la Calabria e una barcata di Calabresi dei quali non ho più intenzione di liberarmi! Che vorrà Totò, contattarmi per uno sconto prenotazione precoce :-)? No, la questione è più importante: a Capo Vaticano, sulla Costa degli Dei (ed il nome non è fuorviante, vi assicuro), la Vodafone vuole installare – sul terreno del Sindaco! – un’antenna, anzi, due. Beh, ci può stare, sai, il progresso… poi uno si lamenta che non c’è segnale e nel sud è sempre la stessa cosa, dove sono i servizi… Invece NO! Non ci può stare proprio per niente: perchè l’antenna la vogliono piazzare a ridosso della Spiaggia del Tono, a 50m in linea d’aria dal bagnasciuga! E Totò giustamente dice: ma se questo posto continuiamo a massacrarlo, segnale o non segnale, poi i turisti non vengono più! La natura ancora è splendida qui, la maggior parte degli alberghi e villaggi sono anche fatti con un certo criterio, sicuramente alcuni più di altri, ma le foto che pubblico vi danno un’idea di quanta bellezza ci sia ancora da godere e da proteggere. C’è anche tanto da risanare e per richiamare i turisti è più efficace una riorganizzazione della raccolta rifiuti, piuttosto che un’antennazza brutta e ridondante: perchè, in effetti, il segnale telefonico qui c’è! Magari ci si deve spostare un paio di metri di qua o di là, ma sai che complicazione! Io, turista, felice di potermi chiamare amica di un pugno di indigeni sconclusionati e preziosi, un paio di metri più in là ci vado più che volentieri. A sparapanzarmi all’ombra dell’antennone anche no. Segnalo quindi a voi un’iniziativa di abitanti della zona e turisti insieme. Per favore, aderite, se vi va, e soprattutto passate la voce, specialmente a chi sapete conosca la Calabria: una delle regioni più belle e più controverse del nostro bello e controverso paese.

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Conosco Capo Vaticano da quando ero bambina e come me tante altre persone hanno scelto questo posto più che come luogo di villeggiatura come una seconda patria, tanto che ci ritornano ogni anno, in alcuni casi, ormai da quasi mezzo secolo, a ritrovare i ricordi,  i sogni, i sapori di quando si rotolavano nella sabbia per poi immergersi nell’acqua azzurra e sentirsi la pelle che sa di sale.

Capo Vaticano non è un’oasi che offra chissà quali divertimenti esotici a turisti annoiati: è un luogo dove si va per leggere, passeggiare riconciliarsi con se stessi e con il mondo, è un posto fatto per quelli che non hanno paura di ritrovarsi da soli con se stessi. Purtroppo negli anni è molto cambiato, ma se vogliamo lasciargli ancora un po’ di quel fascino selvaggio, fatto di mareggiate, scogli, nuotate, sabbia dorata forse dobbiamo prenderci tutti un impegno, un impegno serio: fare un passo indietro per dare un segno di vera civiltà. Altrimenti presto diverrà un luogo come tanti altri, come Torvaianica, Tarquinia, Rimini, si confonderà nell’anonimato di mille luoghi balneari tutti uguali tra loro e allora che differenza farà tra Ostia la spiaggia del Tono? Io credo che il Sud d’Italia abbia un fascino ancora particolare. Non anneghiamo nel nulla queste bellezze meravigliose che il mondo intero ci invidia: facciamo che non diventino la terra di nessuno, ma che continuino a essere la “nostra” terra, sì, nostra anche di noi turisti che l’abbiamo scelta e che quindi la consideriamo tale forse più di altri che ci sono nati.

L’idea che due antenne per il segnale Vodafone, quando peraltro sulla spiaggia il segnale c’è comunque, vengano costruite a ridosso di una delle più belle spiagge d’Italia è un’altra ferita che non possiamo tollerare. Troviamo altre soluzioni che possano essere condivise da tutti, come in una vera comunità, proviamo a fare in modo che la globalizzazione sia in primo luogo questo. Non vogliamo sentirci degli anonimi turisti, dei fantocci intercambiabili, ma degli uomini, dei cittadini responsabili per poter condividere, anche con chi abita da sempre questi luoghi di villeggiatura, speranze, idee, sogni, ma soprattutto progetti. E’ questo il significato che ha la nostra adesione ad un comitato per la salvaguardia di Capo Vaticano che tenga sempre gli occhi aperti su questo luogo mitico, perché se gli dei l’hanno creato, gli uomini hanno il compito di difenderlo.

Cristina Portoghese

Questa lettera dovrebbe venire pubblicata giovedì 9 febbraio sul Quotidiano della Calabria. Per ricevere ulteriori informazioni, per aggiungere la vostra firma e per sostenere questa iniziativa, potete contattare: comitatodifesacapovaticano@gmail.com GRAZIE!!

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Basta. Mi arrendo. Voglio una carezza. Eccola.

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Mi si è esaurita la vena culinaria. Da un po’, devo dire. Ma se da tempo scarseggiava, si presentava come un rigagnolo, adesso sono proprio in secca di brutto. Ispirazione zero, voglia zero. Era una delle mie passioni, era bello comunicare con i sapori, mi facevo anche perdonare le carenze di casalinga: sì amore, d’inverno stiro solo i polsini ed i colletti delle camicie, che tanto si vedono solo quelli… ma hai sentito che profumino? E lo so che al cambio di stagione a metà mattina ti vorresti togliere il maglione e non puoi, ma non sei contento che ti ho preparato un buon tacchino col curry ed i carciofi? Il bello è che funzionava anche… 🙂 Facevo la spesa coniugando mentalmente i sapori, ero avida di nuovi gusti ed aromi, persino il frigo semi-vuoto non era desolante, era invece una sfida e ne tiravo fuori esperimenti sorprendenti – in positivo! Oramai da quando ci sono le bambine, che devono mangiare presto e le cui papille accettano solo una gamma estremamente limitata, cucinare non è certo più stimolante – per poi dover RIcucinare qualcosa di teoricamente di più sfizioso, un’ora dopo… Per un po’ ho avuto l’alibi che il maritino rientrava ad orari sempre diversi ed io come potevo prevedere i suoi movimenti, sia al momento della spesa, che della cucina, quindi quando rientrava si arrangiava come poteva con quel che si trovava in frigo… Io ovviamente nel frattempo io avevo cenato con i resti della cena scialba delle figlie, come tutte le madri che si rispettino. Non che fosse una gioia assoluta, ma avevo le mie ragioni pratiche. Ora il maritino torna ad orari piuttosto regolari – certo, c’è la menata che all’ora in cui potremmo sederci a cena bisogna mettere a letto le bambine, ma con un po’ di organizzazione potrei gestire una cena calda ed appetitosa, almeno un paio di volte la settimana… minimo, direte… Fattostà che guardo il solito frigo, molto meglio rifornito di tanti squallori degli anni passati, che mi hanno comunque permesso di mettere insieme un buon piatto, e… Niente. Nada. Zero. Zip. Non so che c*** preparare. Per non parlare della tristezza della spesa.

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Sorprendentemente a Bruxelles c’erano un’infinità di sapori in più tra i quali scegliere: ok, le verdure sapevano di acqua perlopiù, ma mica poi tutte, e c’erano spezie, noodles, ingredienti provenienti dai paesi del nord e da quelli esotici: ci credete che fare la spesa là era di maggior ispirazione, rispetto ai gustosissimi, ma limitati, ingredienti della buona tavola italica? Per non parlare dei programmi di cucina della BBC: ebbene sì, sono riuscita ad imparare a cucinare persino dagli Inglesi!!!! I nostri chef televisivi vi assicuro che non reggono neanche vagamente il confronto, anche solo con i concorrenti di Ready Steady Cook, dove si preparano i piatti in 20 minuti, un po’ come alla Prova del Cuoco… dovrei dire… ma no, invece non ci siamo, ma nemmeno in lontananza, col binocolo che guarda attraverso un telescopio! Insomma: manco di ispirazione e, peggio, tutto quello che ho imparato mi sembra di averlo dimenticato. Ho il cervello culinariamente in corto-circuito (beh, non solo culinariamente, ok, ma intanto concentriamoci su quello!). Mi serve aiuto. Mi serve l’input. Devo uscire dall’empasse, sennò mi tocca diventare una brava casalinga e la cosa ha la stessa probabilità che far atterrare il mio sputo sulla luna! E non buttatela in vacca suggerendomi di concentrarmi su altre stanze della casa, perchè non è quello il punto!! Non voglio solo evitare le giuste lamentele del marito, vorrei riappropriarmi del mio talento e della mia fantasia in cucina. Mi manca. Mi piacevo brava cuoca…

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