Rieccoci al capitolo Green Economy – o piuttosto Think Green, visto che l’approccio é, per ora, ancora generale.
Le prime due puntate le potete trovare qui e qui
Credo che parlare male dell’eolico in Sicilia, perché la mafia ha messo le mani in pasta nell’affare, sia un approccio sbagliato e dannoso. Non é che la mafia abbia messo le mani in ogni singolo investimento “verde”, nemmeno in Sicilia. Sicuramente ci saranno casi nei quali questo é avvenuto: sorpresi? Macché, perché dovremmo sorprenderci? La mafia, come organizzazione effettiva o magna magna culturale, è ovunque. Nessun ambito economico o geografico ne è immune. Non mi risulta che ad oggi si sia congelata l’industria edile per tagliare le gambe alla mafia. O si sia chiuso il Parlamento (!) e lasciato il paese all’anarchia… 🙂 Seriamente, sarebbe stupido e suicida. Bisogna ovviamente conoscere e colpire in modo mirato, creare e mettere in pratica regole e garanzie per un sistema più pulito. Allo stesso modo bisogna agire nel caso dell’eolico ed é chiaro che in Sicilia il livello di guardia dev’essere ancora più alto! La Green Economy é una realtà ancora tutta da sviluppare, i paesi che investono “verde” stanno reagendo meglio alla crisi economica globale. Non basta dire che l’eolico é in mano alla mafia, per archiviarlo definitivamente! E’ grave che persone con grande esposizione mediatica facciano cattiva pubblicità ad un nuovo sistema produttivo/economico/ambientale/sociale che é solo all’inizio del proprio sviluppo. Ne minano le già deboli possibilità di crescita in un ambiente che, più ne ha bisogno, meno ne é cosciente. Oggi ognuno di noi ha una responsabilità: quella di passare il messaggio giusto. Quella anche di informarsi quindi. Perché é indispensabile partire presto e bene per il viaggio verso un nuovo modo di vivere il pianeta, godere dei suoi doni, coltivare circoli virtuosi, ma anche fare business e fare politica, coscienti che la separazione in compartimenti stagni, I win-you-lose cara Anna ;-), non sta più funzionando: ci sono “perdite” dappertutto…
L’argomento Eolico in Sicilia mi é servito come punto di partenza e mi ha fatto scoprire molte cose. Vorrei sentire anche le vostre voci, peró, perché se non avete niente da dire, da aggiungere, da ribattere, a me, che sono una puramente curiosa ed interessata, ma certo non esperta, vuol dire che in generale siamo ignorantemente disinteressati. Ed io credo che sia grave. Comunque, vorrei ora darvi un paio di dati sullo sviluppo della green economy, partendo da Brescia, visto che ho trovato quest‘interessantissimo e brevissimo articolo. In breve, nella nostra città la Green Economy é cresciuta solo del 6.5 rispetto allo scorso anno – la media lombarda é 9.8, quindi non certo un ritmo frenetico, ma a Mantova, città leader nel settore nella nostra regione, l’aumento registrato é del 25.8. la media nazionale é del 15.5. A Brescia siamo in ritardo, lo siamo in Lombardia, ma lo siamo comunque sicuramente visto l’esempio Mantovano. Si puó e si deve fare meglio e di più. Ma la prima cosa da smouvere é l’opinione pubblica, la cultura generale intorno a questo argomento, perché questo servirà da motore e da controllo alle attività ed inattività che ci circondano.
Proprio oggi ho trovato questo articolo che spiega in modo efficace (e discorsivo, non temete!) l’impronta ecologica che ogni persona, casa, azienda, paese, città, nazione, lascia sul pianeta, attraverso la propria semplice vita quotidiana. Il pianeta produce e noi consumiamo: più aiutiamo il pianeta a produrre e proteggere le proprie risorse naturali, ma anche meno e meglio consumiamo, più potremo continuare a godere del pianeta invece di impoverirlo fino all’esaurimento. Questo ragionamento non é né filosofia, né fronzolo ecochic – é piuttosto pura convenienza. Vi riporto quasi tutti l’articolo di Claudio Messora su Il Fatto Quotidiano, già essenziale di suo e difficile da tagliare. Poi c’é tutta un’intervista che potete leggere qui o seguire in video.
A parte paternalismi e interessi personali, invito davvero tutti ad informarsi, a leggere, a capire, perché non fare niente per un mondo più verde, non é un diritto. La Libertà finisce laddove inizia quella altrui, mi diceva la mia strepitosa maestra. Le scelte individuali in materia di ambiente e sostenibilità hanno un impatto anche sugli altri, che sono anche e soprattutto i propri figli, mica solo “il prossimo”, per vicino o lontano che lo si percepisca. Per dire: non fare la raccolta differenziata (che é la base delle basi delle cavolate facili da fare!) oggi non é più una scelta, perché, sai, non ho tempo, non ho il terrazzino, non sono una fanatica come te. Oggi é colpevole. Non ce n’é tanti di giri di parole.
L’impronta ecologica? All’Italia non interessa
Ci salviamo grazie all’Africa, all’America Latina e all’Australia. Per il resto, divoriamo il mondo come le cavallette in una piantagione di mais. Il mondo è in riserva: per viaggiare, consuma più benzina di quanta non sia possibile infilarne nel serbatoio. Il vecchio adagio “Quando l’ultimo pesce sarà stato pescato, l’ultimo albero tagliato, l’ultimo fiume avvelenato […] allora l’uomo si accorgerà di non potersi mangiare il conto in banca” è sinistramente attuale, insomma.
Funziona così: i mari sono capaci di produrre un certo numero di pesci all’anno, le foreste ci mettono tot tempo a ricrescere, gli animali possono essere allevati non oltre un certo tasso di riproduzione e così via. Il Global Footprint Network mette insieme tutti i parametri e calcola la biocapacità della Terra, ovvero le potenzialità di cui il nostro pianeta dispone per produrre risorse nella finestra convenzionale di 12 mesi. A questa capacità viene associato il valore simbolico di “1 pianeta“. A livello mondiale, nel 1961 di pianeti ne consumavamo appena mezzo. La nostra impronta ecologica era leggera, lo sviluppo era sostenibile. Nella seconda metà degli anni ’80 abbiamo raggiunto il pareggio e oggi facciamo fuori un pianeta e mezzo all’anno. Secondo le previsioni più ottimistiche, entro il 2050 i nostri consumi supereranno abbondantemente la biocapacità terrestre di oltre due volte.
Prima ancora che un problema di ordine etico o morale, qui si tratta di farsi furbi. Ogni paese ha diritto a svilupparsi almeno tanto quanto ogni uomo ha diritto a vivere e crescere. Se non è sostenibile, però, lo sviluppo indiscriminato paradossalmente conduce al risultato opposto: il collasso.
Mathis Wakernagel è il signor Overshoot-Day, la triste ricorrenza che ogni anno celebra il giorno nel quale ci siamo mangiati tutto e, fino al 31 dicembre, non un solo filo d’erba prodotto dalla Terra andrà a rimpinguare le nostre dispense. Mathis ha capito che se non ci faceva un disegnino, ideando un complesso sistema di valutazione e di calcolo, non sarebbe stato facile convincerci. Così ha fondato il Global Footprint Network e gira per il mondo mostrando ad ognuno quanto produce e quanto consuma, spiegandogli che, se è in deficit, tornare in pari è soprattutto una questione di convenienza economica.
Nel 2007, a fronte di una biocapacità di 1,1, l’Italia aveva già un’impronta ecologica di 5,0, con un deficit secco di 3,9, in larga parte dovuto all’emissione di gas serra. A pari merito, in Europa, si classificano Spagna, Svizzera e Grecia, mentre peggio di noi solo l’Olanda e il Belgio. Tanto per dare qualche termine di paragone, il Canada, con le sue sconfinate distese di natura selvaggia, presenta un saldo positivo di ben 7,9, così come l’Australia, mentre agli antipodi non potevano esserci che gli Emirati Arabi Uniti, con un deficit di 9,8 punti, il Qatar (8,0) e tutti quei posti come Dubai, costruiti su terre aride e improduttive, che per mantenere i loro sontuosi stili di vita devono poggiarsi esclusivamente sulla biocapacità del resto del mondo.
Il Global Footprint Network dalle nostre parti sta lavorando a un progetto che coinvolge i paesi dell’area mediterranea. Se ne interessano la Turchia, la Giordania, la Spagna, perfino il Marocco. L’Italia no. Al nostro Ministero dell’Ambiente non interessa sapere quale sia l’impronta ecologica italiana nè quanta dispensa possiamo ancora saccheggiare prima di essere completamente dipendenti dagli altri. Ammesso che agli altri avanzi ancora qualcosa e che noi si abbiano i soldi per pagare.
La prossima volta entriamo più nel merito di cosa fanno quali e quante aziende e di come il governo aiuti od intralci lo sviluppo della Green Economy in Italia.
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