Vi lascio il link a due riflessioni che ho apprezzato, riguardo ai fatti di Roma, di cui sotto – e ringrazio Marietta di averli condivisi, in modo che potessi inciamparvi.
Teledurruti – è il momento della rabbia sociale
Nuovo e Utile – Roma, 15 ottobre
Come Abbate non giustifico la violenza, ma ne prendo atto, in quanto valvola di sfogo di una generazione impotente, educata per rimanere impotente, formata per non diventare mai capace, pensando che non avrebbe, in tal modo, fatto troppo casino – al massimo, per dimenticare, si sarebbe sollazzata (come da illustri esempi). Come l’autore del post di Nuovo e Utile mi chiedo quali siano i mezzi pratici per costruire un ponte sul gap attuale. Credo che la sproporzione tra la velocità dell’informazione e la lentezza dell’oggi stia creando uno zoccolo duro di persone frustrate nella propria crescita, sia personale, che lavorativa: persone che vedono un futuro possibile, ma non preventivabile. Persone che intuiscono cosa ci sia che non va, senza poter sperare di incidere sulla soluzione. Persone che magari non sanno mappare ogni passo della strada verso un domani migliore, ma che vedono ogni barlume di speranza soffocato dal potere, che sceglie sempre altro, sceglie se stesso, sceglie le stesse vetuste strade, per non rischiare di trovarsi davvero in un paese nuovo. Se non c’è riuscito Obama a fare di questa crisi etico-economica un’opportunità, come possiamo mai sperare noi, pesci piccoli, di vedere un giorno un paese ed un mondo in sano equilibrio tra il rispetto, la produttività, la crescita (e questi termini li intendo sia nella loro accezione strettamente economica, che nel senso umanamente più ampio ed individualmente più pratico)? Credo che il nostro impegno personale oggi debba supplire alla mancanza di visione di un’intera classe dirigente. Se la globalizzazione ha avuto un certo effetto di rimbalzo verso la valorizzazione della localizzazione (slancio ancora lacunoso, da perseguire e proseguire), forse l’incapacità gestionale dei famosi personaggi nella stanza dei bottoni ci deve spingere a gestirci da noi, coltivando e sforzandoci per realizzare, ognuno con le proprie competenze, un nuovo sistema virtuoso. Se ognuno di noi si mette in gioco attraverso il proprio lavoro, o la propria ricerca di esso, per ridurre le distanze tra produttore e prodotto (nel senso che il primo non siede in poltrona a, per dire, Milano, mentre l’altro viene sfornato a, sempre per dire, Hu-ho-hao-t’è), ci si riavvicina anche al senso di tangibile soddisfazione per il proprio lavoro, al proprio controllo della qualità dello stesso – e non parlo solo di prodotti manufatturieri. Recuperare le nostre capacità per impiegarle nell’immediato, senza dipendere da accentratori del sistema lavorativo, può farci sentire di nuovo capaci, arricchire la nostra esperienza, ritrovare fiducia e coltivare il savoir-faire. Tanto non è che abbiamo molta scelta: stiamo ad aspettare qualcuno che il lavoro ce lo dìa? Il lavoro, quello centralizzato, quello distribuito dai capibranco, non c’è più, oppure paga da fame, perchè i centralizzatori vogliono solo creare un futuro per se stessi, del nostro non glie ne può fregar di meno, il più delle volte. Ciechi al fatto che se crolla la società intorno a loro, prima o poi crolleranno anche loro. Certo, non tutti si possono improvvisare una professione, ci vuole preparazione e capacità, ma forse ne abbiamo alcune che, non avendole mai impiegate prima, nemmeno riconosciamo come tali. Ognuno di noi sa cucinare, o coltivare, o parlare le lingue, o guidare, o… ditemelo voi! Cosa sapete fare? E come possiamo mettere insieme i nostri talenti più utili e tirarne fuori una professione? A volte sono le idee la prima risorsa mancante: perchè non siamo stati abituati ad essere creatori, ma abbiamo sempre pensato a come inserirci in un sistema. Oggi che questo sistema si sta rivelando tanto fragile, quanto ingiusto, rinnovarci è fondamentale per sopravvivere nel quotidiano, ma anche per creare una corrente di CAPACITA’ che permetta al paese di risollevarsi, propagandosi a macchia d’olio, perchè non sia sempre e solo l’altro ad avere quell’idea geniale, a tappare quel buco che noi non avevamo nemmeno visto, troppo presi ad occuparci dell’acqua che dalla falla esce. Creare tanti piccoli circoli virtuosi è oggi una necessità tanto individuale, quanto sociale. Questo obiettivo non si raggiunge focalizzandosi solo sul proprio, limitato sè, ma guardandosi intorno con occhi diversi, cercando trame invisibili, ma esistenti, tra ciò che di obsoleto ci circonda e non vediamo più, ma che può diventare parte di un rinnovamento che parta dalla base, da noi, dal fare. Valorizziamo l’Italia migliore, valorizziamo noi stessi, neutralizziamo la frustrazione. Certo, anche gli obiettivi di una tale attività imprenditoriale individuale non possono essere paragonabili a quelli che ci appaiono oggi come simboli di successo (soldi, lusso, élite), ma anche questo non credo sia un male… Io di esempi di persone che si mettono in proprio, a fare cose che sembravano un hobby glorificato e poi riescono a creane un’attività professionale seria e produttiva ne vedo: voglio cominciare a farne parte. Voglio sostituire la frustrazione con la soddisfazione, non fine a se stessa, ma propulsore di altri e nuovi successi, da misurarsi in termini nuovi (o forse antichi…), perchè anche io non sia costretta, un giorno, a suggerire a mia figlia di andare all’estero, se vuole un futuro diverso da quello che qualcuno ha già deciso per lei, sacrificandola all’altare del Sistema.
Questi sono i miei persieri in libertà, frutto di osservazioni in giro per il paese, chiacchiere davanti ad un caffé con persone che condividono il mio quotidiano, letture sparse su giornali, libri, internet, riflessioni personali davanti ad uno specchio sincero. Sbaglierò, ma devo, DEVO, trovare il modo di uscire dall’empasse, che sia il mio intimo, o quello che sento stringermi addosso da un fuori sempre più invadente, come sempre più disinteressato… Accolgo, ricerco, incoraggio, le vostre riflessioni – grazie.
leggiti questo, anche se magari non e’ sulla tua lunghezza d’onda, leggi le parole, sono le TUE! baci! http://lightworker.com/beacons/2011/2011_10-PlayANewGame.php
Eccomi, con il pretesto del castello per Carlotta, già sai, mi sto reinventando una professione, dipingo, fate, principesse, gnomi e farfalle, ma pure castelli dei mostri (richiesto da Ludovico), spider man e tutto quello che domandano quelle anime belle che sono i bambini! Ma da oggi andiamo oltre, non solo decori ma progetti di camerette a tema! L’entusiasmo di Carlotta quando ha visto il castello mi ha dato una carica indescrivibile!
Ecco, per esempio e per l’appunto! 🙂 Brava Sandra, si parlava proprio anche di te…
Buongiorno, mi permetto di suggerire il fantastico monologo di ieri sera, alle Iene, di Enrico Brignano in merito ai Black Bloc!
Ma dove li hai pescati ‘sti link?
Il primo è di un’idiozia disarmante soprattutto nell’incipit dello scenario dualistico: o sei categoria Mediaset o sei categoria Litizzetto. O ti fai cullare dall’amaca di Serra o non puoi che essere un aspirante tronista.
Ma siamo alla follia!
Il secondo, come il primo, vede una novità nella volontà di rimettere in discussione le regole dello sviluppo economico.
Ma i no global nati negli anni ’90 cosa volevano fare?
Qual è la novità degli indignati?
E qual è la novità dei violenti. Ricordiamo Genova 2001 e l’utilizzo improprio degli estintori?
E sarebbe una “nuova razza” questa?
E poi non capisco perché se 4 stronzi fanno casino con rivendicazioni sociali devono suscitare pubbliche riflessioni sul perché dei loro atteggiamenti. Se invece quelli stessi stronzi (in genere di estrazione sociale più bassa) fanno casino allo stadio non si parla più di violenza come valvola di sfogo, ma, giustamente, li si condanna senza attenuanti.
Fatta questa premessa non posso che condividere la politica del mettersi in gioco che tu auspichi (e pratichi). Io da quest’anno mi darò alla viticoltura.
Baci.
Vico
E io, tanto per non disquisire delle opinioni personali, voglio il vino 😉
scrivi:
E poi non capisco perché se 4 stronzi fanno casino con rivendicazioni sociali devono suscitare pubbliche riflessioni sul perché dei loro atteggiamenti
concordo.
ho scritto proprio su questo nel mio blog: http://www.simonezuin.it/wordpress/?p=5929
Esserci per scomparire
Nuovo ArtBlitz di Pino Boresta
Vernissage del 13 giugno 2011 del Padiglione Italia a cura Vittorio Sgarbi, all’Arsenale per la 54° Biennale di Venezia.
Cronistoria:
Ahooo!…. c’ero anch’io
Cosa esiste di più bello che esserci a tutti costi per poi sparire in mezzo a tutte le altre centinaia di opere sparpagliate in ogni dove; sopra e sotto a destra e sinistra di qua e di la dentro e fuori e ovunque fosse possibile infilare qualcosa, ebbene io per il mio pubblico non mi tiro mai indietro e quindi anche questa volta ero lì. L’occasione l’inaugurazione del padiglione Italia alla Biennale di Venezia (del 13 giugno 2011) che nonostante le critiche aveva fatto il pienone e non poteva essere altrimenti visto il prestigio di cotanta mostra come quella di Venezia e visto i circa 300 artisti che esponevano. Il successo di pubblico era l’unica cosa assicurata del resto tutti noi abbiamo almeno un marito o una moglie dei genitori dei figli uno o più fratelli, cugini ed almeno un paio di amici stretti, e i conti son presto fatti. Del resto come si poteva far mancare la propria presenza in un giorno così importante a tanti artisti che la biennale se la sognavano anche di notte proprio come me, ma porca pupazza loro ci sono riusciti io no. Anzi si! Io c’ero nonostante tutto e tutti. Vittorio Sgarbi mi aveva pure telefonato ma dopo una breve chiacchierata mi ha detto che non lo avevo convinto, ma forse è un buon segno. Io nel partecipare non avrei di certo avuto nulla da perdere, che volete che me ne importi a me di attaccare la mia opera appiccicata ad altre mille, quando io come un parassita le attacco addirittura sopra le opere degli altri. Cosa volete che me ne importi a me di dover competere per accaparrarmi un po’ di attenzione del pubblico dell’arte tra centinaia e centinai di opere, quando da diciotto anni attacco nelle strade delle città i miei adesivi con la mia faccia alla merce distratta dei passanti cittadini e competendo tutti i giorni con la massiccia invasione pubblicitaria con la quale le città sono aggredite e violentate. Lì si che rischio di perdere la mia battaglia, e ogni giorno mi prendo la mia rivincita. Al padiglione di Sgarbi avrebbero dovuto partecipare solo artisti che fanno un certo tipo di lavoro che esce fuori anche nel caos più totale e che anzi del caos si nutrono. Pertanto approfittando dell’ulteriore confusione venutasi a creare per la presenza di Elio delle storie tese che si era travestito da frate per l’opera di un artista, ho srotolato il mio manifesto in PVC “I want Pino Boresta to the Venice Biennial” e l’ho appeso rimanendo lì in bella vista esposto abusivamente per tutto il giorno dell’inaugurazione. In molti lo hanno visto e possono confermare non ultima un’entusiasta Laura Palmieri.
pino boresta
In effetti, più azone personale di così, non saprei cosa immaginare! Bravo Pino, perchè non ci mandi una foto della tua opera?
Pino, ti ho cercato e trovato in Google ed attacco un link perchè tutti i lettori possano vedere di che parli. Complimenti ancora! http://www.microbo.net/publicselected.asp?id=180
Grazie! Ok! dove la spedisco questo il mio email salepepe_99@yahoo.it